E’ semplice dire: ”Al lavoratore inadempiente gli rifiliamo una multa o lo spediamo a casa per 3 mesi, così capisce l’errore che ha fatto”. Nel Decreto 81/08, comunque, anche i lavoratori sono obbligati a rispettare determinate regole e, se non le rispettano, è giusto che paghino.
Sicuramente il ragionamento fila.
Infatti, così come i controlli svolti in azienda portano, nella maggior parte dei casi, a scovare delle non conformità nel sistema sicurezza a carico dei datori di lavoro, anche un dipendente può (e deve) sanzionato in caso di inadempienza.
Qui però scatta il mio ragionamento; prima di tutto (parlo da RSPP) cerchiamo di inquadrare il contesto in cui il lavoratore opera e poniamoci la domanda: perché lo ha fatto? Le possibili risposte sono, a mio parere:
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Per noncuranza/scarsa percezione del pericolo
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Per fretta, temendo di non riuscire a svolgere nei tempi prefissati il proprio lavoro
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Per incapacità dovute ad ignoranze formative
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Per (diciamocelo) utilizzo di attrezzature ”scomode” o datate dal tempo e non perfettamente funzionanti dopo anni di attività continua e costante.
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Per falle nel sistema organizzativo
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Perché ha preso una decisione errata, (sotto)valutando in modo errato il pericolo.
Tralascio le azioni fatte per ”divertimento” (es. gare di corsa tra carrellisti, utilizzo improprio e goliardico delle attrezzature di lavoro…ecc).
Soffermandoci sui punti precedenti, prima di sanzionare un dipendente (vi riporto un es. pratico stabilito anche con altri datori di lavoro) è preferibile creare un sistema che procede a ”step” – nel senso che un errore è tollerabile, anzi va bene anche segnalarlo per cercare di migliorare un aspetto deficitario in futuro. In questo modo gli altri dipendenti che ”osservano” l’errore fatto dall’amico/collega sono incentivati a riportare in modo assolutamente costruttivo l’evento al preposto o al RLS (senza fare la spia chiaramente!!) per cercare di migliorare la situazione (potenzialmente un near miss o un incidente mancato).
Il dipendente in questione se la cava con una pacca sulla spalla e un plauso dei colleghi.
Discorso diverso se il comportamento è reiterato. Allora lì scatta anche una lettera di richiamo (errare è umano, perseverare è da c…oni diremmo noi!); la terza volta, perché no…una sospensione dal lavoro potrebbe essere un buon esempio – in un’ottica non di colpevolizzazione ma riflessione. Bisogna che capisca perché lo sto tenendo lontano dal posto di lavoro.
Ho assistito anche, come ultima analisi, alla sanzione vera e propria (magra sì rispetto a quelle per i datori di lavoro, ma pure sempre rapportata ad uno stipendio di un operaio medio in Italia – quindi abbastanza rognosa) e raramente al licenziamento; ma si è trattato sempre di casi molto rari e avvenuti in grosse e strutturate aziende in cui viene applicato il #safetyfirst.
Dopo il provvedimento (disciplinare o sanzionatorio) ho sempre proceduto con un aggiornamento della formazione in loco, mettendo in risalto i comportamenti umani (fattori) che prevalgono sulle scelte sbagliate di una scellerata azione lavorativa; in questo modo viene adottata una sensibilizzazione dei lavoratori atta ad unire il gruppo, sottolineando l’importanza delle delusioni e, soprattutto, quella dei successi ottenuti in squadra.
Ing. Danilo Gagliardi